Inclusione degli studenti non italofoni a scuola. Non un “mito” ma un valore

Anticipiamo una parte dell’editoriale che apparirà nel prossimo numero di Selm nel quale si ribadisce la posizione di Anils rispetto alle recenti esternazioni apparse su giornali e siti sull’inclusione degli studenti non italofoni nella scuola italiana.

 

Le prime settimane del 2024 hanno visto su giornali, social, programmi televisivi discussioni e confronti su due persone pubblici noti e importanti che hanno espresso opinioni e proposte rispetto al tema dell’inclusione a scuola: il giornalista Ernesto Galli della Loggia e il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara. Malgrado entrambi abbiano in parte rettificato o tentato di attenuare le proprie affermazioni, l’idea di fondo che entrambi hanno espresso e poi confermato è che l’inclusione di studenti che per qualsiasi motivo presentano dei deficit nuoce alla scuola e compromette il rendimento di tutti.

Non entriamo nel merito delle specifiche parole usate e pubblicate, ci limitiamo a qualche riflessione sul tema dell’inclusione degli studenti e delle studentesse non italofoni nella scuola italiana, che Galli della Loggia definisce “ragazzi stranieri incapaci di spiccicare una parola di italiano” mentre Valditara attribuisce loro “un problema di integrazione” che “danneggia inoltre anche gli studenti italiani che vedono rallentato il loro programma formativo dovendo aspettare i tempi di apprendimento di chi non ha alcuna conoscenza della lingua italiana”.

La soluzione che si legge nelle parole dei due è, pur con diverse forme, l’allontanamento dei ragazzi non italofoni dalle classi “normali” per inserirli con diverse modalità in classi e percorsi didattici separati, finalizzati a portarli verso una presunta “normalità”, presupposto di integrazione.

La nostra posizione – sia personale sia di Anils – prende nettamente le distanze da simili dichiarazioni.

L’inclusione è uno dei principali valori della scuola italiana, che già negli anni ’70 ha eliminato le classi differenziali, non è un “mito”, ma una conquista.

A partire da questo punto fermo, riteniamo che le idee sopra riassunte siano la conseguenza sbagliata di un dato di fatto: carenza di strutture e personale, tagli alla spesa dell’istruzione pubblica, problemi di formazione iniziale e in servizio dei docenti sono le principali criticità che condizionano la piena inclusione scolastica.

La soluzione quindi non può essere – come propone il ministro – la ghettizzazione degli studenti stranieri fatta sulla base di un non meglio definito test di verifica delle competenze dei ragazzi immigrati (chi lo predispone, lo somministra, lo valuta? Solo ai ragazzi neoarrivati? Oppure a tutti coloro che non hanno nazionalità italiana?) all’atto dell’iscrizione, ma il potenziamento e il miglioramento delle risorse umane, organizzative, formative al servizio dell’inclusione di tutti gli studenti e di tutte le studentesse. Gli strumenti normativi esistono, basti pensare ai docenti della classe di concorso A23 (Lingua italiana per discenti di lingua straniera – alloglotti),  utilizzati quasi esclusivamente nell’istruzione per gli adulti e nei CPIA e assenti nelle scuole.

Così come esistono indicazioni chiare su quali possono essere le modalità di inserimento degli allievi non italofoni e di insegnamento della lingua seconda e sull’organizzazione della scuola inclusiva. Tra le tante, ricordiamo le Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri del 2006, dove si legge “Lo studio della lingua italiana deve essere inserito nella quotidianità dell’apprendimento e della vita scolastica degli alunni stranieri, con attività di laboratorio linguistico e con percorsi e strumenti per l’insegnamento intensivo dell’italiano” e gli Orientamenti interculturali. Idee e proposte per l’integrazione di alunni e alunne provenienti da contesti migratori del 2022, nei quali è scritto “…è necessario costruire alleanze nei diversi contesti territoriali, con il mondo delle istituzioni, degli enti locali, delle associazioni, del volontariato. È inoltre importante … coinvolgere tutti gli studenti, indipendentemente dalla propria provenienza, insieme, in azioni di partecipazione attiva e reciproco scambio”.

Qui troviamo un altro punto centrale: nello scambio, nella relazione con l’altro diverso da sé, nel confronto tra abilità e competenze diverse non c’è chi impara e chi insegna, chi vince e chi perde, chi si avvantaggia e chi è penalizzato ma c’è l‘arricchimento di tutti. Scrive Dario Ianes: “una scuola che fa inclusività lavora meglio per tutti. Anche per i più bravi, che non solo non vengono “frenati”, ma che possono acquisire nuove competenze proprio grazie all’interazione con i compagni, anche quelli con gravi deficit. E non migliorano solo dal punto di vista umano – attraverso lo sviluppo di empatia, solidarietà e sensibilità, competenze peraltro fondamentali -, ma anche dal punto di vista cognitivo. […]un’interazione ben costruita, con una gestione intelligente da parte dei professori, al di là delle questioni ideologiche, è vantaggiosa per tutti.»

Su questi temi Anils continua e continuerà a battersi e a confrontarsi dentro e fuori dalla scuola, nella convinzione che il confronto e la coesistenza tra lingue, culture, storie e abilità diverse sia essenziale per crescere bene in classe, per sviluppare una vera Educazione Linguistica Plurilingue, e in ultima analisi per la costruzione della convivenza pacifica nelle città, nei paesi, nelle scuole.

 

Maria Cecilia Luise

 

 

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